el charco

Quante parole, quante nomenclature per uno stesso scompiglio. A volte mi convinco che la stupidità si chiama triangolo, che 8x8 è la follia o un cane -Julio Cortàzar-

21.6.07

L'ultimo lettore in libreria



L’ULTIMO LETTORE
DAVID TOSCANA

Pagine 224 – 15,00 Euro

“ Inquietante, crudele, spettacolarmente sorprendente, saggio e potente.”
Publisher’s Weekly

“La sua opera merita un posto speciale tra i romanzi dell’America Latina.”
New York Times

“Un delirante esercizio di narrativa.”
El Mundo

A Icamole, un villaggio sperduto in una landa messicana vessata dalla siccità, viene trovata una bambina morta in fondo a un pozzo. Il lettore della polverosa biblioteca del paese, ignorata dagli abitanti e abbandonata dai finanziamenti del governo, ordina il romantico occultamento del cadavere, seguendo le trame dei libri che cerca di salvare dalla maledizione eterna e dall’oblio.
In un gioco a incastro, di realtà e affabulazione, si confondono le storie e la storia.
Una favola moderna e surreale sulla forza della letteratura, sul valore della morte e della solitudine.

Un romanzo di frontiera che calca le orme di Cervantes, Faulkner e Cormac McCarthy.

David Toscana è nato nel 1961 a Monterrey, in Messico. I suoi libri sono stati tradotti in molte lingue. L’ultimo lettore nel 2005 ha vinto tre premi letterari, tra cui il Premio di narrativa Antonin Artaud.

29.5.07

lettera di Ricardo Blanco a Pepe Carvalho

Riporto una lettera che lo straordinario protagonista di Morte di un violinista ha scritto per ricordare un suo vecchio amico, un maestro, un modello di uomo e detective.


Lettera a Pepe Carvalho

Caro Pepe,
sono due anni che non ci sei piú e ancora non mi sono
ripreso dallo sgomento della tua assenza. Due anni sono un
sospiro o un’eternità, a seconda di chi porti l’orologio. Da
tempo volevo scriverti due righe ma non ce l’ho fatta. Tra i
tanti meritatissimi riconoscimenti e i tanti nomi illustri che
omaggiano il tuo, ho temuto che gli uffici postali potessero
smarrire la mia lettera. Ora, alcuni amici comuni mi danno
la possibilità di fartela arrivare tramite una mano dolce e sicura.
Non immagini neanche la quantità di gente che mi chiede,
per strada, nei bar, ai giardinetti, se sono tuo parente. E
riconosco, caro Pepe, che mi inorgoglisce moltissimo il solo
fatto che lo pensino. Ti confesso che la prima volta ho provato
una scudisciata di vanità per tutto il corpo che mi è
durata per vari capitoli. Di fatto ho cercato di scoprire l’origine
di questo equivoco, cosa avrò mai io per meritarmi la
tua amicizia? E nella distanza che ci separa (non a caso tu
hai vissuto ventidue avventure ed io appena tre, tu parli piú
di venti lingue ed io comincio ora a farfugliare il tedesco e
un po’ di finlandese, che ridicolo, tu ti sei già guadagnato
un posto in Cielo ed io sto ancora cercando il mio posto
sulla terra) ho trovato alcune cose che potrebbero chiarire
la questione.
Per esempio? Per esempio la tavola. Hai visto come man-
giano male i detectives anglosassoni?, per questo hanno
sempre quella faccia di chi sente puzza di merda, quella faccia
da Victor Mature fino al midollo. Certo. Si fermano in
qualunque bettola, tra un crimine e l’altro, per saziare la fame
a colpi di sandwich oleosi e birre calde, se non restano
addirittura in macchina a mandar giú un caffè sudaticcio e
un maledetto donut. Cosí fanno Marlowe, Sam Spade,
Wallander, quel cugino svedese che ci è nato negli ultimi
tempi. Persino Maigret. Santo cielo. E pensare che in Francia
si può mangiare e bere molto bene. Che bisogno c’è di
rovinarsi lo stomaco in quella maniera! Sí, caro Pepe, ci unisce
la tavola. È pur vero che il clima ci separa, ben diverso
è l’inverno di Raval da quello di Vegueta, quello di calle
Santa Amalia da quello di calle Triana, che non è né carne
ne pesce. Ho cambiato i tuoi stufati con delle insalate, le
tue zuppe con il pesce fresco, ma dove ci sono l’olietto d’oliva
e il buon vino… Sai una cosa? Ricordo ancora una tua
frase a questo proposito: «l’importante è mangiare, la digestione
è secondaria».
E cosa mi dici dell’umore? Sicuramente dipende da cosa
mangiamo. Ai parenti del nord gli dà acidità, a noi furberia.
Per questo hanno quegli improvvisi malumori e rigidità, e
per questo credono nella filosofia degli sconfitti. Noi no,
caro Pepe. Noi prendiamo la vita in altro modo. Ci riteniamo
perdenti come loro, mortali come loro, ma sopravviviamo
alla nostra mortalità con grandi dosi di ottimismo. Una
scrollatina di spalle. E un sorriso.
E cos’è che ci imparenta? Forse ha a che vedere con
quanto detto prima, con le lenticchie e l’ironia, con la trippa
e il sarcasmo, abbiamo tutti e due un codice morale e,
anche se non è esclusivo, è come il cortile di casa mia, privato
e asciutto. Il nostro lavoro sta nello scoprire l’assassino,
spiegare le ragioni (quando ci sono) del suo atto, cercare
di capirlo. Che paghi o no per il suo crimine, non ci riguarda.
Noi non siamo dèi. Credo di ricordare che una vol-
ta l’hai spiegato chiaramente: «Io, ovvero, Carvalho, non ho
mai consegnato un criminale alla polizia o alla giustizia. Non
appartiene alla deontologia di un detective privato sanzionare
mediante l’apparato repressivo, anche perché, visto che
stiamo parlando di letteratura, ogni scrittore sa che il vero
assassino del suo romanzo è lui stesso. Lo scrittore è la ragazza
del bar e l’amante della ragazza del bar, il gangster e il
poliziotto, l’omosessuale e il fascista, il marxista e l’eterosessuale,
la vittima e l’assassino». Sia detto una volta per tutte:
una cosa è la legge e un’altra ben diversa è la giustizia.
Ebbene, caro Pepe, voglio concludere con un aneddoto
che, anche se un po’ prosaico, rispecchia perfettamente la
mia ammirazione per te. Tu sei nato in una notte di bisboccia,
da una scommessa per salvare i baffi. Io ho aperto l’agenzia
di investigazione dopo un’altra notte di sbronza, per
chiudere la bocca al mio amico Miguel Moyano. Tutti e
due, insomma, siamo figli del whisky e della luna, che non
è poi una brutta cosa per dei personaggi letterari quali siamo.
O no?
Hasta siempre, amico.
Tuo, Ricardo Blanco

21.5.07

I dervisci rotanti sulla tomba di Mario Bellatin

Dervisci rotanti intorno alla mia tomba


L’oppressione di sapersi perduti in una città fino a un certo punto sconosciuta, credo sia motivo sufficiente per sceglierla come luogo di lavoro. Ciclicamente, cado in preda a intensi attacchi di panico e angoscia immotivata. Sono giunto alla conclusione che questi stati mi sono necessari per poter scrivere. Lunghe notti di insonnia trascorse a immaginare le situazioni più funeste, ore di veglia e di sonno intermittente mentre la vita continua tutt’intorno. Vedermi costretto a cercare la scrivania come unico rifugio capace di attenuare l’angoscia. Camminare per strade anonime brulicanti di persone, prendere la metropolitana senza sapere se funzionino i meccanismi che consentiranno il mio ritorno in superficie. Sapere, nell’istante stesso dell’angoscia, che intorno a me si svolgono centinaia di attività è importante. Mi è difficile considerare Città del Messico come la mia città. Non ci sono cresciuto. Quasi non ne conservo ricordi. L’ho abbandonata quando avevo pochi anni e non ci sono tornato fino a qualche anno fa. Situazione perfetta per sentirmi partecipe, ma non della sua voragine. Per credere di esserne un abitante ma anche un esploratore. Per scoprire giorno dopo giorno una serie di abitudini, di vie sconosciute, per sentire di infrangere una regola comportandomi come un normale cittadino. Una delle caratteristiche di questa città è l’essere strutturata come una serie di entità sovrapposte. Quelle che si chiamano “colonie” non sono in realtà altro che piccoli centri urbani chiusi in se stessi, autosufficienti. Per questo solitamente gli abitanti non si spostano su lunghe distanze. Tutto questo può essere sperimentato in una città come Città del Messico. Non a caso ho scelto di abitare in una piccola casa dei primi del ‘900 situata in una delle zone più centrali. Un angolo di tranquillità dimenticato nel frastuono che si scatena tutt’intorno. Abito in un gruppo di case chiamato El Buen Tono. Qui stiamo, io e la mia angoscia, estranei a molte delle attività che si svolgono intorno. Nessuno deve essere testimone del mio sconforto. Io, da solo, di fronte alle parole che devo creare. Tutto il resto, il traffico umano, la vita culturale, lo percepisco come un vago brusio. Ogni tanto mi capita di incontrare qualche altro scrittore, ci salutiamo cortesemente, poi ciascuno prosegue per la sua strada. Ma questa situazione, stranamente, non fa di me un essere del tutto separato. Organizzo, malgrado il mio isolamento, una scuola per scrittori. Un luogo d’incontro dove una serie di creatori trascorrono qualche ora la settimana insieme a un gruppo di aspiranti scrittori. Questa attività mi consente di rimanere in contatto con uno spazio concreto, specifico. E mi consente di mettere da parte l’angoscia e la depressione per affrontare tutte le domande che sorgono dalla creazione letteraria. Mi lascio coinvolgere, evitando che il mio lavoro personale ne sia toccato. E neppure il mio stato d’animo. E neppure l’ansia che, a quanto pare, mi permette di creare. Mandare avanti la scuola è una sorta di artificio che mi libera dal senso di colpa dello scrivere. Conosco bene la sensazione, perché mi accompagna fin da quando ero molto giovane. In qualche modo il senso di colpa si dissipa quando commento con un gruppo di scrittori le loro nuove creazioni o quando devo invitare un maestro e discutere con lui le regole del gioco che reggono la scuola. Ma in realtà riesco a sostenere l’intera situazione grazie alla presenza di una serie di amici. È una città così sproporzionata da permettere l’esistenza di molte reti di amicizie di diversa indole. A ciascuna sono legato da vincoli di natura particolare, e ciascuna mi costituisce in quanto persona. Ho i miei compagni sufi, con i quali condivido un cammino spirituale, i miei amici intellettuali, che alimentano le mie ansie di cultura, e altri amici che non possono essere definiti in base a nessuna caratteristica in particolare, con i quali mi muovo nel tempo e nello spazio. A tutti loro sono unito da legami affettivi che, cosa curiosa, quasi mai si intrecciano fra loro. Lo spazio urbano di realtà sovrapposte lo permette con naturalezza. Non credo esista un’altra città che lo permetta in modo così netto. Che offra la possibilità di percorrere una serie di sentieri paralleli senza che questi debbano mai incrociarsi. Questa situazione mi consente, per di più, di conservare intatto il mio spazio di creazione, senza grandi interferenze. Il fenomeno stesso della sovrappopolazione genera di per sé molte opportunità di solitudine che si presentano simultaneamente e separatamente. Malgrado il suo disordine e la sua sproporzione, Città del Messico è il luogo dove sono riuscito ha trovare il silenzio più grande, quello che si ingigantisce grazie alla consapevolezza che la pace può essere infranta in ogni momento per lasciare spazio all’immersione in una dinamica di moltitudini. Grazie alla possibilità di passare da un estremo all’altro. Riguardo ai libri, questa mia sensazione di essere in compagnia nel silenzio fa sì che la mia scrittura si interroghi sempre più su se stessa. Che i mondi rappresentati nei miei libri obbediscano in misura crescente alle leggi che la scrittura stessa è andata creando nel corso del tempo. Accadono tante cose intorno a me, che i libri si trasformano in una sorta di riflesso di uno spazio che può essere riprodotto unicamente mediante le parole. Per rappresentare una realtà in continuo mutamento mi pare esistano forme di espressione molto più efficaci della scrittura. Credo che queste circostanze consentano di realizzare nel miglior modo la premessa secondo la quale un libro deve esistere perché ciò che esprime non può essere comunicato con altri mezzi. La letteratura come spazio necessario, non come espediente che può essere scelto per rispecchiare una data situazione. A Città del Messico tutto è fatto in modo che vi si possa appartenere e non appartenere nello stesso tempo. Che vi si possa emulare un universo soltanto attraverso le parole. Ho la sensazione che finirò annullato dai miei stessi mondi. Questo accade soprattutto quando l’angoscia tinge ogni cosa intorno a me. Quando i timori si ampliano e quando sento che il mostro che mi circonda è davvero incommensurabile. Allora, mi basta uscire e fare qualche passo per ritrovarmi al mercato sull’angolo di casa mia. O fare qualche passo in più per raggiungere una delle stazioni del metrò più affollate. Constato allora che non vi è possibilità di errore. Che malgrado le tenebre in cui a volte sono immerse le mie parole, nella loro apparente mancanza di senso, la realtà è presente. Lo constato grazie alle centinaia di persone che, sebbene io voglia ignorarlo, mi circondano di continuo. La parola, i testi, non germogliavano nella solitudine più assoluta. Più di una volta mi sono immaginato a scrivere in altre città o in circostanze diverse. Anzi, l’ho fatto. Ricordo la disastrosa esperienza di quando tentai di rinchiudermi in una capanna completamente isolata dal mondo. Non tardò a manifestarsi una serie di sintomi fisici, fra i quali un’asma persistente, che mi costrinse ad abbandonare la capanna insieme a tutti i miei scritti. Non ebbi mai il coraggio di tornarci. Durante la mia esperienza in diverse residenze per scrittori o il mio soggiorno presso una scuola di cinema, il mio principale obiettivo era cercare in ogni modo di raggiungere al più presto una zona urbana dove poter mettere a confronto con la realtà quotidiana i mondi fino a un certo punto insoliti che si riflettono nei miei testi. Così, pur vivendo in una delle società più caotiche, riesco a rendermi conto che il mio lavoro in qualche modo tenta di trovare il punto non evidente che si svela in ogni comportamento umano. Malgrado i disagi di questa città, la sua insicurezza, l’ingannevole amabilità con cui le situazioni solitamente si presentano, la frequente impossibilità di comunicare con gli altri per risolvere i problemi più banali, la mia scelta di lavorare a Città del Messico non è sbagliata. Ho perfino preparato il mio funerale e scelto il luogo dove verrò sepolto. Potrà apparire geograficamente inappropriato, ma intorno al mio corpo gireranno per un’infinità di ore un gran numero di dervisci rotanti, sarò avvolto in un telo di seta verde pieno di fiori e riceverò come addio il canto di esultanza che accompagna le Nozze Mistiche. Tutto questo accadrà nel cuore di Città del Messico, il mio luogo di lavoro, dove non per nulla, fin dalla notte dei tempi, si è fatto della morte un rito di celebrazione.

8.5.07

Bookever noir in libreria

NERO E AVANA
Antologia di racconti cubani contemporanei
pp. 240, Euro 14

A cura di Giuliana Della Valle
Prologo di Danilo Manera


Dissacranti, eccessivi, questi racconti sono un pugno allo stomaco del lettore.

“Questi racconti ruotano come mulinelli attorno a un baricentro inquietante: un incubo, un suicidio, un’indemoniata, un linciaggio, una sicaria, una lugubre trappola, un gorgo d’odio, una violenza sessuale, uno spettacolo proibito, uno squartatore ucciso da un folle. E nel vortice di caligine si cela il profilo cangiante e incomprensibile, aggressivo e imputridito del male”.
Danilo Manera

Un odore dolce di salnitro e morte percorre le viuzze buie dell’Avana; la rabbia sconnessa degli angeli e dei demoni di Cuba ci conduce alle storie di questi straordinari narratori. Un’orgia di disperazione, sesso, violenza, impotenza, tradimento e sogno, popolata da erotomani, attentatori, puttane, scrittori, frustrati, esuli, travestiti, ladri.





JOSÉ LUIS CORREA
MORTE DI UN VIOLINISTA

pp. 272, Euro 14

Malinconico come Marlowe, astuto e riflessivo come Maigret, Ricardo Blanco è la risposta canaria a Montalbano.

Esotico, impertinente, Ricardo Blanco ricorda un altro grande personaggio, Pepe Carvalho, nato dalla penna di Vásquez Montalbán.

Il primo violino dell’Orchestra filarmonica di New York, in tournée a Las Palmas, viene trovato morto. Ricardo Blanco, figlio del whisky e della luna, detective riciclato, amante del jazz e delle donne, dovrà risolvere un caso che sembra essere un assassinio. I sospetti si concentrano su uno degli elementi nuovi dell’orchestra, la violista canadese, dallo sguardo acquoso, Juliette Legrand, da cui il detective Blanco si sente fortemente attratto. La morte del violinista scuote l’isola dal torpore come una brezza calda di favonio.

José Luis Correa (Las Palmas, 1962) è professore all’Università di Las Palmas di Gran Canaria. Morte di un violinista è il primo romanzo tradotto in Italia dei tre centrati sul personaggio di Ricardo Blanco


4.5.07

Mario Bellatin alla Fiera del Libro di Torino e a Roma

BOOKEVER - EDITORI RIUNITI e L’AMBASCIATA DEL MESSICO

presentano

DAMA CINESE
di
Mario Bellatin

Fiera del Libro di Torino
Sabato 12 maggio ore 20:00
Spazio autori A
Intervengono
L’autore
*
Vittoria Martinetto
Docente di Lingua e Letterature Ispanoamericane all'Università di Torino
*
Maria Nicola
Traduttrice
***

Bookever – Editori Riuniti
vi invita

al Caffè Fandango
martedì 15 maggio
ore 19:30

Rosella Postorino e Mario Bellatin
leggono Dama cinese

Rosella Postorino, autrice de La stanza di sopra edito da Neri Pozza, leggerà insieme a Mario Bellatin alcuni passi di Dama cinese. Happening dell’autore messicano. Introduce la serata Paolo Valentini, editor di Bookever.

Caffè Fandango - Piazza di Pietra 32/33 – 00186 Roma – tel. 06.45472913 – caffefandango@caffefandango.it


IILA- Istituto italo – Latino americano
Bookever – Editori Riuniti e l’Ambasciata del Messico

Presentano


Dama cinese
di
Mario Bellatin

mercoledì 16 maggio
Ore 18
Sala degli specchi
Piazza Benedetto Cairoli 3

Saranno presenti l’autore, Susanna Nanni (Università di Roma Tre) e Paolo Valentini ( editor Bookever)

***

DAMA CINESE


«Non si esce indenni da una lettura simile. O meglio, da questa esperienza»
Le Nouvel Observateur

«Un’arte diabolica della costruzione, un trattamento della lingua elegante e anoressico»
Alan Pauls

Un ginecologo unisce l’impeccabile esercizio della sua professione a regolari visite ai postriboli. Un bambino dalla testa «lievemente anormale» racconta la storia di un’anziana pazza, mentre aspetta la madre in sala d’attesa. Non c’è spazio né tempo, soltanto il vuoto e un presente che inchioda le relazioni tra gli individui. Una storia spietata narrata con scetticismo, dove l’assenza di giudizio mantiene il lettore sul filo, alla ricerca del senso dell’universo, delle paure e delle vicende umane. Con uno stile aspro e minimalista, di una bellezza enigmatica e fredda, Mario Bellatin intriga e sorprende il lettore, senza svelare il mistero che avvolge i suoi personaggi.

Mario Bellatin è nato a Città del Messico nel 1960. Considerato uno degli autori più originali e innovativi degli ultimi anni, è stato tradotto in varie lingue, ottenendo, soprattutto in Francia, un notevole successo di critica e pubblico.

DAMA CINESE, il suo primo romanzo pubblicato in Italia, in Spagna è stato considerato da El Pais uno dei migliori del 2006.

«Bellatin crea una sorta di caos narrativo, nel quale nulla sembra avere senso, neppure l’esasperante freddezza.
Un caos che alla fine si ordina con affascinante precisione»
El Pais

11.3.07

DAMA CINESE in libreria




« Non si esce indenni da una lettura simile. O meglio, da questa esperienza»
Nouvel Observateur


«Un’arte diabolica della costruzione, un trattamento della lingua elegante e anoressico»
Alan Pauls

« Bellatin crea una sorta di caos narrativo, nel quale nulla sembra avere senso, neppure l’esasperante freddezza. Un caos che alla fine si ordina con affascinante precisione»
El Pais

Un ginecologo unisce l’impeccabile esercizio della sua professione a regolari visite ai postriboli.
Un bambino dalla testa «lievemente anormale» racconta la storia di un’anziana pazza, mentre aspetta la madre in sala d’attesa.
Non c’è spazio né tempo, soltanto il vuoto e un presente che inchioda le relazioni tra gli individui. Una storia spietata narrata con scetticismo, dove l’assenza di giudizio mantiene il lettore sul filo, alla ricerca del senso dell’universo, delle paure e delle vicende umane.
Con uno stile aspro e minimalista, di una bellezza enigmatica e fredda, Mario Bellatin intriga e sorprende il lettore, senza svelare il mistero che avvolge i suoi personaggi.


Mario Bellatin è nato a Città del Messico nel 1960. Considerato uno degli autori più originali e innovativi degli ultimi anni, è stato tradotto in varie lingue, ottenendo, soprattutto in Francia, un notevole successo di critica e pubblico.
Dama cinese, il suo primo romanzo pubblicato in Italia, in Spagna è stato considerato da El Pais uno dei migliori del 2006.

8.2.07

Con Benedetti e Cueto torna la letteratura della "disperanza"

gentili lettori,
riporto qui uno stralcio della bella recensione di Sergio Pent apparsa il 2 gennaio su L'Unità.
Non è morta ne svaporata la narrativa latinoamericana, non è un nobile ricordo relegato agli anni d'oro in cui Feltrinelli - ma anche Einaudi- fecero entrare in casa nostra Marquéz e Vargas Llosa, Sabato e Onetti, Guimarães Rosa e Arguedas, attraverso un mondo di luci estranee e fantasia, dolori epici e sussulti politici e sociali che vennero ad amalgamarsi e a ridimensionare le nostre modeste rivoluzioni da salotto. I tempi sono cambiati, le traduzioni rarefatte o circoscritte, Onetti e Donoso introvabili in libreria, Bolaño è morto prima di salire in cattedra e la letteratura consolatoria e ammiccante di un Sepulveda può farci credere che il continente dei grandi scrittori sia diventato il mulino bianco delle storie semplici, appartate, popolari.
Il coraggio dimostrato dalle edizioni Bookever- Editori Riuniti è quindi da mettere in piazza, poiché la Storia è andata avanti nonostante tutto, i paesi dell’America Latina hanno vissuto e continuano a vivere le loro aperte – spesso sanguinose- contraddizioni politiche e i grandi scrittori sono rimasti tali, solo resi più invisibili dal contesto editoriale che li ha fatti passare di moda…

12.1.07

il semestre che verrà

Un anno che finisce somiglia ad un anno che comincia.
Un libro che si ama, si estende sopra gli anni come un sudario nelle notti calde di Icamole.
Un libro che si odia rimane impresso nei secoli come una maledizione, nonostante si abbia voglia di dimenticarlo.
I libri mediocri ci sono del tutto indifferenti, non come la polvere per gli igienisti e il traffico per gli ansiogeni.
Per chi crede che la letteratura non sia consolatoria, ma uno specchio pigramente amorfo che riflette la faccia lurida e la cattiva coscienza degli uomini, a marzo uscirà DAMA CINESE di Mario Bellatin, scrittore raro tra i rari nelle parole di Jorge Herralde.
Spero che di lui si parli molto o almeno io ne parlerò molto, poiché ho avuto la fortuna d’incontrarlo in un’esibizione metaletteraria su Simòn del desierto di Luis Buñuel.
Architetto di un mondo strambo che inventa le sue regole, DAMA CINESE è un romanzo-incubo, una confessione sordida e disarmante sulle aberrazioni dell’uomo, sul caso e la memoria, la follia e la morte, sui ricordi spesso ridicoli a cui ricorre l’esorcismo del dolore.

Ad aprile un dolce odore di salnitro e morte, la vista del Malecòn e dei suoi ridicoli frangiflutti percossi dalla rabbia giovane del mar dei Carabi ci portano in NERO E AVANA, antologia noir di autori cubani (Leonardo Padura Fuentes, David Mitrani, Alexis Diaz Pimienta…), 18 racconti per stomaci forti, una grande abbuffata di disperazione, sesso, violenza, impotenza, tradimento e sogno, popolata di erotomani, attentatori, puttane, scrittori frustrati, impiccati…

Dicono che Pepe Carvallo abbia lasciato un erede nella cassaforte di un albergo di Las Palmas, frequentato tanto da novelli bucanieri contemporanei, quanto da ragazzine in cerca di sballo e furore.
MORTE DI UN VIOLINISTA di José Luis Correa scuote l’isola dal torpore come una brezza soave di favonio. Il detective Ricardo Blanco, amante del jazz, vittima predestinata del conturbante fascino delle donne, è invischiato nel caso della morte misteriosa del primo violino dell’orchestra Filarmonica di New York.

C’è molto Pedro Paramo nelle atmosfere desolate di una landa messicana, c’è il surrealismo di David Toscana, c’è la speranza dell’ULTIMO LETTORE, di colui che salva la letteratura attraverso i libri di una biblioteca sperduta e abbandonata dal governo, in un paesaggio prostrato dalla siccità, dalla perdizione, dal sottile equilibrio dei luoghi che scompaiono.

11.1.07

Alonso Cueto e la letteratura della violenza sul The Guardian


Cari lettori, riporto un articolo tratto dal The Guardian, nel quale si approfondisce il ruolo della letteratura della violenza in Perù. Alonso Cueto, nell'intervista, spiega le ragioni e le radici del conflitto e su come queste siano state fonte d'ispirazione e materiale intrascurabile per una nuova generazione di scrittori peruviani.

Link

8.12.06

Recensione su Liberazione


Clicare sull'articolo per ingrandire e leggere

6.12.06

Rapporto sul delirio

Incontrai, un giorno, un povero diavolo, che nel mezzo della notte su una panchina smaltata di verde, mi disse delle cose che ora proverò a ripetere; una voce gutturale, sepolcrale mi sussurrò strizzando l’occhio: Arturo Belano è morto mentre aspettava un trapianto di fegato, poverino non si godrà neanche la morte di quel bastardo di Pinochet. W Garcia Marquez e la rivoluzione degli stili, Aureliano Buendia gioca ai soldatini nella giostra dei bambini a Villa Gordiani. Un vecchio barcaiolo canticchiava una milonga mentre ritirava la rete Hemingway. E’ difficile ammettere che quello scribacchino di Vargas Llosa sia ancora così maledettamente capace di scrivere. Incrociai Amado in un bordello di Bahia tra le braccia di una vergine. Oggi comincia l’epoca del riscatto, sosteneva una sensitiva in Plaza de Mayo, ma quanti riscatti abbiamo cominciato, le rispondeva un realista postperonista in un crocicchio del quale si perse la vista. Ho sognato il profeta Galeano che attizzava il fuoco con la terra e la memoria. A ciascuno il dittatore che si merita urlava il danzatore di mambo di un localino al centro di L’Avana. Lo spillo perduto nella biblioteca di Borges è divenuto il soggetto di un film inglese in costume. Uqbar si è finalmente suicidato copulando con lo specchio dell’eteronimo sconosciuto di Pessoa. Benedetti passeggia per Nueva Beach sognando altri orizzonti.
Avrebbe continuato all’infinito nonostante fosse fiaccato dalla memoria, dal dovere di ricordare queste storie così strambe e apparentemente prive di senso. Mi lasciò dei fogliettini con epigrammi di siffatta specie che mi incoraggiò a diffondere. Per la sua memoria e per quella di centinaia di artisti, pazzi e criminali spargerò questi deliri a puntate sull’umile charco, sperando che qualcuno possa gradire il nonsensodellepaginecheracchiudonovita

17.11.06



Mercoledì 22 novembre appuntamento al caffè Fandango con la presentazione de L’ora azzurra di Alonso Cueto e Andamios, il romanzo del ritorno di Mario Benedetti. La lettura dei brani tratti dalle due opere sarà accompagnata dalle musiche di Filippo La Porta e dei Latin Connection Quartet.
Vi aspettiamo tutti al Caffè Fandango - Piazza di Pietra 32/33 – 00186 Roma – tel. 06.45472913 – caffefandango@caffefandango.it

Link

7.11.06

Alonso Cueto: l'intervista su L'ora azzurra

Ti ringrazio per aver accettato di rispondere alle nostre domande e curiosità.
Il protagonista de L’ora azzurra, Adrian Ormache, dopo aver conosciuto l’oscuro passato del padre, figura assente nella sua vita, penetra, in una discesa infernale, nella vita e nelle sofferenze di Miriam, vittima delle violenze del padre militare in un conflitto che in Perù, ha assunto connotazioni assai cruente.
Perché hai voluto raccontare questa storia?


In molte occasioni, mi sono incontrato con persone che mi raccontavano storie e mi dicevano “spero che ti servano per il tuo prossimo libro”. Nessuna di queste storie mi è servita, ovviamente. Mentre quelle che ascolto un po’ per caso mi sono sempre state molto utili.
Alcuni anni fa, ho pranzato con un amico, un giornalista d’inchiesta, il quale mi raccontò la storia di un generale dell’esercito che si innamorò di una prigioniera ad Ayacucho, che teneva reclusa nella sua stanza affinché non fosse violentata e fucilata dalle truppe. Ciò accadde nel 1983, durante il conflitto e la guerriglia di Sendero Luminoso. Dopo aver vissuto un tempo con il generale, la ragazza fuggì e andò a vivere a Lima. Non fu l’unica storia che mi raccontò quel giorno ma fu senz’altro quella che sopravvisse rispetto alle altre. Pensai che l’unica maniera di liberarmi di quella storia fosse appunto scriverla. Non potendomi identificare con il generale e neppure con la prigioniera, cercai un personaggio a me più vicino. Fu così che nacque l’idea che a raccontare la storia fosse il figlio del generale, un avvocato di Lima, che scopre la vicenda anni dopo e vuole cercare la donna prigioniera del padre.

Secondo te, la crisi di Adrian è il risultato di una voragine che si apre nella vita apparentemente perfetta di un uomo oppure è solamente la consapevolezza rabbiosa di un passato paterno che macchia il proprio prestigio di avvocato?

Adrian vive in un paradiso autosufficiente. Tuttavia l’evento paterno apre effettivamente un buco nero nel suo mondo armonico. Al principio, cerca di trovare la donna per evitare che ella possa macchiare il suo prestigio; poi comprende che rappresenta un modo per avvicinarsi alla vita del padre e alla propria. Alcune volte ho affermato che questa potesse essere un racconto di fate al contrario, ma a differenza dei racconti di fate, il protagonista vive in un mondo magico ed incantato ed entra nel mondo reale. Ha avuto la sensazione di aver vissuto in una bolla, lontano dalla realtà della quale era soddisfatto. Credo sia l’illusione di molti pensare che il nostro mondo sia intoccabile.
La storia è un viaggio verso il padre. Il tema del padre è cruciale nella cultura ispanoamericana.

Ciò che più colpisce nel tuo romanzo è la capacità di descrivere la violenza che hanno subito i contadini durante la guerra civile. Per raccontare questa storia hai dovuto penetrare all’interno dei segreti inconfessabili di entrambe le parti in conflitto. Quali fonti ti hanno ispirato?

La guerra è la miglior fonte di ispirazione per qualsiasi scrittore. Il Perù è un Paese che vive in uno stato di guerra latente a causa della sua composizione etnica, culturale e linguistica. Le differenze tra il mondo andino ed il mondo costiero, che ora iniziamo a salvaguardare, hanno generato un conflitto occulto spesso prodotto dal razzismo. Gli scrittori sono avvoltoi che si alimentano dei conflitti. Da quando esiste la letteratura, le storie sono state il risultato delle differenze, delle tensioni e delle carenze. Da una parte il conflitto genera le storie; in un mondo utopico, dove tutti convivono in armonia, non ci sarebbero storie oppure sarebbero estremamente noiose. Dall’altra, credo che le società siano abituate ad ignorare il dolore, la morte e la violenza, ostacoli che rallentano il proprio cammino. La letteratura è lo strumento che permette di rincontrare le verità dimenticate, accantonate dalla società.

Nel 2005 hai vinto il premio Herralde di narrativa, uno dei maggiori riconoscimenti alle opere di qualità latinoamericane e ispaniche. Da molti sei considerato l’erede di Vargas Llosa; ma quali sono realmente i tuoi “maestri”?

Vargas Llosa è un grande maestro; lo stesso posso dire di Juan Rulfo, Julio Cortazar, Juan Carlos Onetti e Borges. Tra gli scrittori italiani aggiungerei il nome di Antonio Tabucchi, specialmente quello di Sostiene Pereira. Bassani fu una lettura piacevole. Mi considero anche un devoto del “Principe” di Lampedusa. Ma se dovessi nominare lo scrittore che più mi entusiasmò come lettore, direi Henry James. Nessuno come lui descrisse l’epica della coscienza. La sua descrizione meticolosa e drammatica, obbiettiva e commovente dei processi interiori influì molto su di me.

1.11.06

Intervista su Nybramedia

gentili lettori,
riporto un'intervista fatta al sottoscritto sul sito dello straordinario Armando Adolgiso.

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14.10.06

La narrativa latinoamericana su Bookever-Editori Riuniti


L’ORA AZZURRA
ALONSO CUETO

«Alonso Cueto è l’erede generazionale di Vargas Llosa e Bryce Echenique»

El Pais

«Un romanzo straordinario che descrive con lucidità e fantasia le conseguenze di dieci anni di guerra civile e terrorismo»

Mario Vargas Llosa

«Le zone oscure degli individui e dei gruppi non finiscono mai di rivelarsi. Le nostre famiglie sono oceani al di sotto dei quali si custodiscono scrigni di verità sommerse»


Adrián Ormache è un ricco avvocato che vive nel quartiere più elegante di Lima. Ha un buono stipendio, un lavoro stabile che gli piace e una famiglia meravigliosa. Sotto la protezione materna, anche la sua infanzia è trascorsa senza problemi. Ha conosciuto il padre soltanto sporadicamente e delle sue imprese come ufficiale della marina ha sentito solo parlare. Dopo la morte della madre, scopre però che suo padre ha diretto la caserma di Ayacucho durante la guerra contro Sendero Luminoso. Dai suoi ex ufficiali, viene a sapere inoltre che faceva torturare, violentare e giustiziare i prigionieri. In un caso però aveva risparmiato la vita a una ragazza, fuggita poi dalla caserma. Adrian decide di cercare questa misteriosa donna e la sua ossessione aumenta quando riesce ad avere alcune sue fotografie. Ambientato negli anni novanta in Perù, L’ora azzurra è un’esplorazione del proibito ma anche una scoperta dell’eroismo anonimo dei dimenticati. La storia è narrata con uno stile avvolgente e un ritmo da detective story.

Alonso Cueto è nato a Lima nel 1954. Vincitore di alcuni premi importanti in Perù, del Premio Herralde in Spagna, è stato definito come uno dei nuovi e più importanti autori di lingua ispanica degli ultimi anni. L’ora azzurra è il suo primo romanzo pubblicato in Italia.




ANDAMIOS
Il romanzo del ritorno
MARIO BENEDETTI

«Benedetti, come Cortázar, è uno scrittore che non solo si ammira, ma al quale si vuole bene»

Mario Paoletti

Un’autentica opera maestra, un libro di una saggezza esemplare, nel quale lo sguardo si avvicina con tanto amore agli esseri umani.

La storia di Javier è quella degli esiliati degli anni duri della dittatura in molti paesi latinoamericani che si ritrovano, come in un palcoscenico adombrato dall’oblio, a raccontare le proprie fughe malinconiche, i ritorni in punta di piedi, le utopie giovanili e le sconfitte della vecchiaia. Un romanzo a più livelli intriso di nostalgie, ricordi, storie di persone amate, abbandonate, ritrovate, perdute per sempre.

Mario Benedetti è nato nel 1920 in Uruguay. Poeta, romanziere e commediografo, è autore di oltre 50 volumi tradotti in ventitrè lingue. Dopo gli anni dell’esilio, vive tra Montevideo e Madrid. Ha ricevuto, oltre ad altri premi, il Premio Reina Sofia de poesia nel 1999 e il Premio Iberoamericano José Martì nel 2000. In Italia La tregua è stato pubblicato da Feltrinelli.

3.10.06

Bookever e la letteratura ispanoamericana

Cruzar el charco è un’espressione tipica dei viaggiatori latinoamericani, dei migranti, dei pellegrini, degli esiliati, dei turisti con mucha pasta, dei sognatori, di coloro che pensano che l’Europa sia la terra meravigliosa o disgraziata dalla quale un giorno qualche povero contadino, pezzente o manovale, fascista, comunista, o anarchico, sia fuggito per Cruzar el charco. Al contrario ovviamente.
Attraversare l’oceano, l’immensa pozza che ha diviso uomini e bestie, che divide Macondo dai Boulevard parigini, Santa Maria da Carnaby street, la selva dal cemento, la Pampa dalle piogge acide, è l’espressione che riassume una diversità, un’alterità generatrice di altre storie, in un altro tempo, con altri tempi.
Storie dove la violenza è epidermica, la gioia è uno spazio aperto, dove le prigioni sono arene da combattimento e l’utopia è contagiosa, ammaliante e perdente.
Una terra di creoli, vecchi conquistadores, meticci, latifondisti, Sem terra, indios e finanzieri grassocci che vivono separati dal filo spinato, dalle riserve, dalle foreste, dalle cortine sorvegliate dai paramilitari.
Un universo che muta, che si trasforma, che brucia ricchezze, spazi alberati, che mangia i suoi figli, che vomita dittature e torture, che assapora mate, carne, guacamole, coca, pisco, avocado e caffè.
Uno spazio immenso colorato, triste-allegro, una tanguedia, un mambo.

Bookever-Editori Riuniti apre uno spazio, un grande contenitore di storie ed avventure che vuole semplicemente raccontare le nuove da questo meraviglioso continente così ricco di metamorfosi costanti.

“ lo spagnolo apre il coperchio di quel serbatoio di meraviglie ancora in gran parte da scoprire che è l’America Latina”
- Giuliano Soria -

24.9.06

Benedetti poeta del exilio


riporto un'intervista al poeta e scrittore Mario Benedetti tratta dal quotidiano spagnolo "el pais".

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27.8.06

I nuovi Bookever


"L'ora azzurra" di Alonso Cueto e "Andamios, il romanzo del ritorno" di Mario Benedetti saranno le nuove pubblicazioni per i tipi Bookever-Editori Riuniti.

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